A.A.A. - D.S.A. - Dislessia, un limite da superare

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mercoledì 21 maggio 2014

Il bambino con Disturbo specifico di apprendimento a Scuola, la diagnosi e la certificazione: i fattori che favoriscono la Logica dell’integrazione



Pubblicato da Marco Gubernale il 30 aprile 2014 in BAMBINI, PSICHE No comments

La letteratura scientifica ci porta a conoscenza del fatto per cui una parte della popolazione scolastica può presentare una compromissione importante dei processi di apprendimento. Questa percentuale può assumere valori differenti in funzione dei punti di vista e delle fonti dei diversi Autori che descrivono il fenomeno dal punto di vista epidemiologico, ma si colloca sostanzialmente entro un intervallo che va dal 2 al 5% degli alunni, ai quali è possibile diagnosticare un Disturbo specifico di apprendimento, o DSA.

Com’è noto, il DSA consiste in un’anomalia evolutiva nelle capacità di apprendere la lettura, la scrittura e il calcolo, come pure le abilità di comprensione del testo o di soluzione dei problemi matematici da parte di bambini il cui funzionamento neurologico e cognitivo è per il resto integro: dunque, il termine “evolutiva” lascia intendere che la problematica compare nel corso dello sviluppo, e che non è stata acquisita per effetto di altri fattori o cause che potrebbero spiegarla, come ad esempio un deficit della vista o dell’udito.

Il DSA si può sospettare a partire dalle prime attività scolari, qualora un bambino manifesti un andamento degli apprendimenti difficoltoso rispetto a quello del resto della classe, con impacci e rallentamenti eccessivi, o con necessità di eccessivo supporto da parte dell’insegnante. Nel corso di questa fase preliminare, specialmente se durante i primi anni della Scuola primaria, l’atteggiamento clinico maggiormente condiviso è quello di effettuare un primo intervento di potenziamento delle abilità, come descritto nell’articolo precedente, per verificare se le difficoltà rilevate siano già sensibili ad un miglioramento.
Infatti, nell’approccio al DSA è necessaria una certa cautela diagnostica per non malinterpretare con il termine di Disturbo una situazione nella quale si sarebbe reso necessario semplicemente rinforzare o concedere più tempo ai processi fisiologici dell’apprendimento per ripristinare i livelli attesi.

E’ anche per questo motivo che – salvo casi eccezionali – la diagnosi di dislessia può venire formulata dopo la seconda metà della II primaria, e quella di discalculia dopo la seconda metà della classe III primaria: proprio perché, tra le altre considerazioni al riguardo, merita particolare attenzione la necessità di definire lo stato degli apprendimenti in un’epoca nel quale il sistema cognitivo deve averne già maturato e consolidato i processi.

Ecco che, qualora dopo un primo training di potenziamento e successivamente alla II-III primaria si mantenga una lettura lenta, stentata ed esitante, oppure un numero eccessivo di errori nello scritto o una cattiva grafia, come anche l’incapacità nella scrittura e nell’elaborazione del numero o nello svolgimento dei calcoli o altro ancora, si rende necessaria una valutazione specialistica per formulare o meno la diagnosi.

Dopo il prezioso contributo scientifico delle Conferenze scientifiche di consenso, l’introduzione della legge 170 del 2010 ha rappresentato una svolta formale cruciale per rimodellare lo scenario diagnostico dei DSA, assieme ad altre indicazioni che riguardano sia i Clinici sia la Scuola.

L’applicazione della legge a livello regionale ha successivamente disposto che la diagnosi possa venire formulata dal Neuropsichiatra infantile oppure dallo Psicologo, preferibilmente all’interno di un’équìpe multidisciplinare, con l’emissione di un’apposita certificazione che attesta la tipologia del disturbo, ne descrive le caratteristiche e il profilo funzionale e contiene le indicazioni specifiche per favorire l’apprendimento e l’applicazione della didattica ad alunni e insegnanti.

Vale a dire che la certificazione DSA dà diritto al bambino con dislessia, disortografia, disgrafia o discalculia di usufruire delle cosiddette misure compensative e dispensative, ovvero una serie di interventi, ritocchi, modifiche e semplificazioni dell’insegnamento tali per cui vengono salvaguardati e garantiti i contenuti delle materie evitando tuttavia le ricadute sfavorevoli sull’apprendimento determinate dal disturbo. Così, tanto per fare un esempio, potrebbe essere che venga evitato di far leggere a voce alta in classe un bambino dislessico, oppure che venga concesso più tempo per l’effettuazione delle verifiche scritte a quello disortografico, o che sia lasciato utilizzare il carattere stampato maiuscolo all’alunno disgrafico o che, infine, il bambino discalculico possa utilizzare tabelle, formulari o la calcolatrice.

Queste misure sono successivamente descritte nel cosiddetto Piano didattico personalizzato, una sorta di “progetto” ideato dalla Scuola e condiviso con i genitori, fondato sulle evidenze ottenute in sede di diagnosi e ad esse adattato, rispettando l’intento degli Insegnanti, utilizzando gli strumenti e la tecnologia a disposizione, valorizzando l’individualità e le risorse dell’alunno.
L’enfasi del legislatore, che si inserisce nel solco aperto dalla comunità clinica, è rivolta proprio alla possibilità di apprendere tutto quanto previsto dal curricolo scolastico aggirando le abilità deficitarie – dispensando o compensando, appunto – affinchè la Scuola e lo studio siano un’esperienza gradita e serena, dalla quale ottenere gratificazione e successo.

Nel caso dei bambini con DSA, integrazione è sinonimo di apprendimento: vale a dire che la questione fondamentale non è tanto il come una certa informazione sia acquisita e ritenuta, ma piuttosto la possibilità che essa possa venire utilizzata, padroneggiata e spesa per arricchire il patrimonio cognitivo di un bambino a prescindere dalla fonte.

Per semplificare, potrebbe essere che nessuno di noi si ricordi quando e come ha appreso che i mammiferi possiedono certe caratteristiche: potrebbe averlo letto, imparato a lezione, ascoltato da un documentario e altro ancora… Ciò che importa però è che possiamo essere messi in grado di utilizzare in modo proficuo questa tipologia di informazioni durante l’interazione con gli altri, per uno scambio di crescita e cultura con l’ambiente.

Con il progredire della tecnologia digitale probabilmente muteranno anche gli scenari di apprendimento classico, e le possibilità di dispensa-compenso diverranno sempre più efficaci, articolate e sicure e consentiranno davvero di creare un ambiente maggiormente neutro e privo di esiti – e di visibilità – sui ragazzini che presentano queste problematiche.

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