A.A.A. - D.S.A. - Dislessia, un limite da superare

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mercoledì 21 maggio 2014

Daniel Pennac, da alunno somaro a scrittore: "Così ho vinto la disortografia"

Interviste e personaggi

A scuola gli davano dell'asino, poi da grande è diventato prima insegnante e poi scrittore. L'autore francese, in Italia per un convegno sui disturbi dell'apprendimento all'Università di Modena, ci racconta la sua esperienza. E ai giovani con disturbi dell'apprendimento dice: "Non abbiate paura"

MODENA - Si scrive Dsa, si legge Disturbi specifici dell'apprendimento. Dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia quelli più diffusi. In Italia a soffrirne sono oltre 90 mila alunni, almeno quelli certificati nell'anno scolastico 2011/12, pari a poco più dell'1% della popolazione scolastica.

C'è chi non riesce a leggere velocemente o in modo corretto, chi ha problemi con i calcoli, chi non riesce a riprodurre segni alfabetici e numerici. Ma c'è anche chi non si è fatto fermare dalle difficoltà.

È il caso dello scrittore francese Daniel Pennac. Classe 1944, diventato famoso con la serie di romanzi sulla famiglia Malaussène, Pennac (all'anagrafe Pennacchioni) è affetto da disortografia ovvero il disturbo della scrittura che non rispetta le regole di trasformazione del linguaggio parlato in scrittura. Oltre ai romanzi (usciti in Italia per Feltrinelli), Pennac ha pubblicato il saggio sulla lettura "Come un romanzo", pièces teatrali e libri per l'infanzia. L'ultimo libro che ha scritto è "Storia di un corpo" (Feltrinelli). Sembra quasi un paradosso eppure Pennac, da ragazzino si è accorto di confondere i segni grafici con suoni fonetici simili, tipo ‘p' e ‘b' o la ‘t' con la ‘d', quelli che presentano somiglianza nella forma scritta o di invertire la sequenza dei suoni all'interno della parole. È per questo forse che, come scrive nel suo ‘Diario di scuola', il saggio autobiografico che prende in considerazione il punto di vista di quelli che vanno male negli studi, è sempre stato un "somaro". Poi però è diventato insegnante. "Non esiste l'ossimoro ‘il somaro che ce l'ha fatta' - spiega - significa solo che nessuno è prigioniero della propria infanzia: si chiama evoluzione'.


Francese di nascita ma emiliano-romagnolo d'adozione (l'Università di Bologna nel 2013 gli ha conferito una laurea ad honorem in Pedagogia), Pennac ha partecipato al convegno internazionale ‘Giovani adulti con Dsa: Diagnosi e traiettorie di sviluppo' all'università di Modena (ateneo che ha tra i suoi iscritti 103 studenti con Dsa) dove ha tenuto una lectio magistralis sulla sua esperienza.

Quando si è accorto di essere disortografico?
Da subito. Ho iniziato a scrivere a 12 anni, in collegio. Durante le ore di studio era vietato leggere e quindi io coltivavo la mia passione da ‘clandestino', la sera, sotto le lenzuola, con una torcia. Poi, in classe, i professori pensavano studiassi, invece io continuavo a scrivere come immaginavo sarebbe andato il libro che non avevo finito la sera prima. Era ‘I tre moschettieri', ma quando confrontavo la mia versione con quella di Dumas mi accorgevo che l'originale era leggermente migliore della mia. Ma io scrivevo per me e non mi interessava. Continuavo a prendere zero in ortografia, e intanto scrivevo libri. Il dizionario è stato un mio alleato, lo consulto ancora oggi, di continuo. E poi scrivo ancora lentamente, anche se qualcuno può pensare che sia uno scrittore veloce.

Quali errori commetteva?
Non avevo alcuna memoria visiva. Ma, a parte gli errori di ortografia, c'erano quelli di grammatica. Sbagliavo proprio il ragionamento. La soluzione è stata iniziare a ragionare grammaticalmente: ho iniziato a farlo quando mi sono accorto che era simile alla struttura del pensiero, che c'era una soluzione logica e non era un dogma.

Qualche suo insegnante si accorse del problema?
La maggior parte dei professori non se ne accorse, forse per questo per me insegnare è stato più facile. Un docente deve essere per prima cosa professore di tutti gli alunni, e poi deve insegnare la sua materia.

Ha avuto difficoltà nello scrivere?
Mi approcciavo alla scrittura come quando qualcuno mi fa una domanda alla quale non so rispondere. Mi sentivo un imbecille totale. Ma se io ti faccio comprendere perché due più due fa quattro, senza darlo per scontato, il problema è risolto. È questa la vera difficoltà di essere insegnante. Il miglior esercizio che un professore possa fare è far finta di non sapere. Poi non c'è soddisfazione maggiore per un docente di quella di trasformare in matematico un ragazzo che non sa fare le più facili addizioni.

Com'è stata la sua esperienza di insegnante? Ha avuto studenti con Dsa o altre disabilità?
Emozionante, come la trasmissione stessa del sapere. In particolare, ricordo la storia di un ragazzo che, a scuola, quando trascriveva i dettati faceva errori incomprensibili. Ne parlai con un collega, per giorni. Poi scoprimmo che era era sordo. Non sentiva le frequenze acute e sua madre, che lo amava, non immaginava fosse un problema all'udito ma pensava che il figlio fosse un sognatore distratto. Aveva 15 anni e aveva fatto tutto il percorso scolastico senza accorgersi del problema. La domanda non è tanto di chi è la colpa ma come è possibile che nessuno se ne sia accorto prima.

C'è un legame tra il suo passato da ‘somaro' e l'essere diventato professore e scrittore?
Non lo so. Credo che sia stata un'altra vita e che io mi sia costruito un'altra personalità. L'unico nesso che vedo tra l'alunno e il professore che sono stato è la conoscenza superiore che avevo del problema rispetto ai miei colleghi. Loro erano stati bravi studenti, io, per fortuna, no.

Ha un consiglio da dare ai giovani con Dsa?
Non avere paura, semplicemente. Non avere paura neanche di quelli che vogliono farti paura perché hanno una personalità infantile. Chi vuol mettere in soggezione è come un bambino grande che nessuno deve temere. (irene leonardi)

(14 maggio 2014)

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