A.A.A. - D.S.A. - Dislessia, un limite da superare

A.A.A. - D.S.A. - Dislessia, un limite da superare

mercoledì 19 giugno 2013

GLI ESAMI DI TERZA MEDIA DEGLI ALUNNI CON DISABILITA' O DSA

L'alunno con DSA e piano didattico personalizzato è equiparato all'alunno con disabilità

Giugno: la scuola finisce, ma per chi è in terza media le vacanze si faranno attendere ancora un po', dato che rimane l'ultimo ostacolo degli esami finali. In questo pezzo vogliamo fare il punto sulle modalità con le quali si svolgeranno le prove finali per gli alunni con disabilità o
disturbi specifici dell'apprendimento.

Poco, a dire il vero, è per ora cambiato rispetto allo scorso anno. In attesa di disposizioni concrete sull'applicazione della recente e controversa circolare sui BES (
circolare Direttiva Ministeriale del 27/12/2012) constatiamo nulla è cambiato rispetto al passato e che molto occorre ancora fare per affermare politiche scolastiche realmente inclusive.

ALUNNI DISABILI E PEI - Innanzitutto ricordiamo che per gli alunni con disabilità sono previste prove di esame specifiche, relative agli insegnamenti impartiti. Le prove possono essere differenziate, basandosi sul PEI piano educativo individualizzato dello studente. Il loro valore è lo stesso di quelle ordinarie, per ciò che riguarda il superamento della prova d'esame finale.

DSA E STRUMENTI COMPENSATIVI - Nel caso di alunni con DSA (Disturbi Specifici di apprendimento), si prevede la possibilità di utilizzare strumenti compensativi previsti dal piano didattico personalizzato (PDP). Per questi alunni è prevista la possibilità di dare più tempo per la conclusione delle prove, e può essere previsto l'uso di strumenti informatici. Per la comprensione di quanto richiesto dall'esame, un componente della commissione può leggere i testi delle prove scritte, inoltre al candidato può essere consentito l'uso di dispositivi per l'ascolto in formato mp3 dei testi registrati.

DSA E LINGUE STRANIERE - Per quanto riguarda le lingue straniere, è prevista una prova orale al posto di quella scritta nel caso in cui il candidato con DSA non abbia seguito un percorso didattico individuale, ma quello ordinario, con la sola dispensa dalle prove scritte di lingua straniera.
I candidati con DSA con percorso didattico differenziato e con esonero dall'insegnamento della lingua straniera, valutati in base ad esso, possono sostenere prove differenziate, coerenti con il percorso svolto, finalizzate al solo rilascio dell'attestato di credito formativo. Questo secondo quanto previsto dal D.P.R. n. 323/1998.
Ricordiamo quindi che gli alunni con DSA con piano didattico differenziato ed esonero dagli esami di lingua straniera, sono sostanzialmente equiparati agli studenti con disabilità che svolgono esami in base al loro PEI. E questo vale sia per le scuole secondarie superiori che inferiori.

ATTESTATO - Agli alunni con disabilità o con DSA che non conseguono la licenza è rilasciato un attestato di credito formativo, utile per l'iscrizione e per la frequenza delle classi successive, come previsto dall'
OM n. 90/01 in applicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 215/87 sul diritto di tutti gli alunni a frequentare anche le scuole superiori.
Dallo scorso anno, nei quadri finali pubblicati con gli esiti dell'esame, nel caso in cui lo studente non consegua il diploma, ma solo l'attestato, viene indicata la dicitura "Esito positivo", così come per la licenza. Così come per la scuola superiore, dall'anno scroso vieene usata questa dicitura al posto di "non licenziato".

Dsa, Aquino (Aid): ''C'è ancora una grande parte di sommerso''

ROMA. Si stima che sia del 4 per cento l’incidenza dei Disturbi specifici dell’apprendimento (dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia) rispetto alla popolazione scolastica in Italia. Lo ricorda Giuseppe Aquino, psicologo e membro del consiglio direttivo dell’Aid, Associazione italiana dislessia, mettendo subito in evidenza la realtà del sommerso: “Poiché di Dsa non se ne sapeva molto fino a poco tempo fa, c’è ancora una grande parte di sommerso in questa percentuale, oltre il 2 per cento”. Per questo l’Aid punta alla sensibilizzazione, e ''molto lavoro è stato fatt"'. Ma molto resta da farne, concorda Viviana Rossi, ex insegnante e dirigente scolastica anche lei nel direttivo dell’Aid, che conta 5 genitori, 2 docenti e 2 tecnici (psicologo e neuropsichiatra): ''Dovrebbe essere prevista formazione obbligatoria per tutti, senza che i singoli docenti debbano pagarsi questo o quel corso".

In questa direzione l’associazione ha stilato un protocollo triennale con il Miur e sostenuto dalla Fondazione Telecom Italia dal titolo “A scuola di dislessia”: 16 mila insegnanti sono stati formati, sia grazie alla piattaforma telematica messa a disposizione dal ministero sia con incontri sui territori. Il protocollo è scaduto pochi giorni fa, il 31 maggio, ma se ci fossero nuove risorse, dicono dall’Aid, si potrebbe rinnovare. La formazione ha riguardato finora la scuola primaria e la secondaria, anche se la legge 170 del 2010 (Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico) considera anche la scuola dell’infanzia e l’università (“A volte allievi con Dsa hanno un quoziente intellettivo altissimo, perché non dovrebbero accedere all’università trovando persone preparate e strumenti didattici adatti?”, dice Rossi).

Afferma Giuseppe Aquino commentando i dati recenti del Miur che registrano un incremento delle certificazioni di Dsa: “Con la legge 170 è subentrata maggiore attenzione e formazione in ambito scolastico, e grazie ai percorsi che abbiamo messo in campo come Aid è più facile per i docenti capire i segnali di rischio del disturbo, con il risultato che c’è un invio maggiore ai servizi”. Perché i dati mostrano un aumento delle certificazioni soprattutto alle scuole superiori? Per Aquino “nella primaria c’è sempre stata attenzione, per questo l’aumento si registra soprattutto alle medie e secondarie” che, con i nuovi strumenti a disposizione, si sono fatte più attente. Un incremento fisiologico, dunque, che coincide con un progresso in termini di consapevolezza. (ep)

martedì 18 giugno 2013

Consigli per i genitori dei bambini dislessici - Progetto TIPS .

Le scatole e l'Invalsi

Senti collega, io dovrei spiegare le equazioni. E’ un argomento un po’ ostico ed è necessaria la massima attenzione. Tu e Marco usate forbici, colla e pennarelli e il rumore che fate crea distrazione per gli altri. Penso sia il caso.…” Penso sia il caso.… che vi togliate dalle scatole! Questo era il senso. Questa era la richiesta: uscire dalla classe e andare in un altro luogo, l’aula di sostegno. Era maggio del 1990: una vita fa.

E’ una vita che faccio l’insegnante di sostegno alle medie, questa cosa può capitare. In verità prima, anni fa, capitava più spesso, ora quasi mai. I colleghi di matematica e anche quelli delle altre materie sono più sensibili, più preparati, più coinvolti. Dopo 23 anni da quella volta mi è successo di nuovo, qualche giorno fa. Stavolta però non è stato un collega di matematica, né di un’altra materia, è stato l’INVALSI.

“I DSA, i disabili e tutti gli altri BES possono anche svolgere le prove (tanto poi comunque non vengono conteggiate!), ma se hanno bisogno di lettura ad alta voce o dell’affiancamento di un docente di sostegno, devono svolgere la prova in un altro luogo!” Bene, le parole delle note e delle circolari INVALSI non erano propriamente queste, ma il senso concreto del messaggio e delle disposizioni era proprio quel “Toglietevi dalle scatole!” di ventitré anni fa. Non è un bel segnale, no!
Le etichette e i BES

Già tutte le preoccupazioni da BES (Bisogni Educativi Speciali) bastavano! A scuola, da tre mesi, non si parla d’altro, pure i collaboratori scolastici, il dirigente e il personale di segreteria ne parlano.

Questo è positivo, certo. Si parla di BES e di inclusione, questo è un fatto nuovo. Chi conosce la scuola perché la frequenta e ci lavora ogni giorno riesce però a leggere tra le righe di una direttiva o di una circola ministeriale e a coglierne gli effetti concreti e nefasti.

Individuazione, progettazione e attuazione dell’intervento didattico personalizzato, questi sono i tre momenti del processo previsto per i BES. L’individuazione prevede una suddivisione dei BES in tre fasce, ben visibili nella bozza di Piano Annuale dell’Inclusività proposta dal ministero:

le disabilità certificate (Legge 104/92 art.3, commi 1 e 3)

i disturbi evolutivi specifici (DSA, ADHD, DOP, FIL, altro)

lo svantaggio (Socio - economico, Linguistico - culturale, Comportamentale – relazionale).

In pratica, solo per la prima fascia, quella dei disabili in situazione di gravità, dovrebbero essere previsti il sostegno didattico e specializzato, con insegnante di sostegno, e il Piano Educativo Individualizzato (PEI). Per le altre due fasce non ci dovrebbe essere il sostegno di un docente specializzato, ma l’intervento degli insegnanti disciplinari che stilano e attuano un Piano Didattico Personalizzato (PDP). Quegli alunni che ieri venivano chiamati “psicofisici”, sigla per gli organici degli insegnanti: “EH”, transiterebbero quasi in massa nei disturbi evolutivi specifici, senza sostegno specializzato. Non so dare percentuali precise a livello nazionale, posso parlare delle scuole della mia provincia: le situazioni di gravità non superano il 20%. Ciò vuol dire che c’è un 80% di alunni che rischia di perdere il sostegno specializzato e, ovviamente, una percentuale corrispondente di docenti di sostegno che rischia di perdere il posto.

Ma torniamo all’individuazione. Si è detto in passato che andava superato il concetto di integrazione legata a un certificato medico. Bene, ora viene proposto un modello organizzativo che prevede l’inclusione legata a un numero imprecisato di certificati, riferiti a svariate sigle che corrispondono ad altrettanti BES. Prossimamente potremo ascoltare in sala professori discussioni preoccupate, del tipo: “Nella mia classe ho un DSA, un ADHD e un FIL, è una situazione insostenibile!” “Vuoi scherzare? Faresti a cambio con me che ho due ITA L2 e tre SVANT, di cui uno socio – economico?”

Io resto un nostalgico e preferivo quando in sala professori non usavamo sigle, ma parlavamo dei tormenti, delle difficoltà, delle speranze e degli sforzi di Giulia, Jacopo, Pietro, Lorenzo e Azjri. L’individuazione dei BES rischia di portare all’etichettatura e alla medicalizzazione, con un massiccio ed invasivo intervento sanitario nel momento dell’individuazione e anche in quelli successivi, che andrebbe ad erodere e a svilire la componente didattica e scolastica in genere. Non è una bella prospettiva. Non è decisamente una prospettiva inclusiva.

C’è poi la fase di progettazione, a livello di singolo istituto scolastico (Piano Annuale dell’Inclusività) e a livello di singolo alunno con BES (Piano Didattico Personalizzato). In questa fase gli insegnanti del consiglio di classe potranno contare su un massiccio numero di organismi e di gruppi di lavoro di consulenza. GLH operativo, GLI, CTI, CTS, GLIP, GLHP, GLIR, ecc. ecc., sono le sigle di gruppi di lavoro con cui i docenti dovranno familiarizzare per avere supporto e coordinamento interni ed esterni alla propria scuola. Chi sa di scuola e di risorse finanziarie a disposizione, sa comunque che questi gruppi di lavoro sono legati per lo più a competenze individuali e a spirito volontaristico.

Basti l’esempio del GLI. Si tratta del gruppo di lavoro interno a ogni singola scuola che prima si chiamava GLH (Gruppo di lavoro per l’handicap) e ora si chiama appunto GLI (Gruppo di lavoro per l’inclusione). Devono far parte del GLI alcuni insegnanti della scuola (di sostegno e curricolari) con particolari competenze, personale esperto esterno e genitori, oltre al dirigente scolastico. Il GLI, recita la circolare sui BES del marzo scorso, si deve riunire almeno una volta al mese, ma, visto il numero molto corposo di compiti da svolgere, di fatto dovrà farlo molto più spesso. Il GLI può riunirsi in orario di servizio (come in orario di servizio? In orario di servizio gli insegnanti sono in classe!), oppure fuori dall’orario di servizio, utilizzando i fondi d’istituto (quelli, per intenderci, che non ci bastano per pagare le sostituzioni dei colleghi assenti e che ci creano problemi per l’acquisto di computer e LIM, ma anche di carta per le fotocopie e perfino di carta igienica). Bene, quindi, numerosi gruppi di supporto all’inclusione. Supporto a distanza! Già, perché questa è la grossa novità: bisogna passare da un sostegno in presenza, dall’insegnante di sostegno, segregante e ostacolo alla vera autonomia e all’inclusione, a un sostegno diversificato e di prossimità. “Dal sostegno ai sostegni!” questo è il nuovo slogan.

Nella terza fase, infatti, quella dell’attuazione dell’intervento didattico con i BES, non ci sarà il sostegno tradizionale con insegnante specializzato, ma ci saranno “i sostegni”di consulenza. In pratica, nella fase dell’attuazione didattica in classe, l’insegnante disciplinare, che verrà formato e aggiornato in maniera intensiva ed esaustiva, se la vedrà da solo. Da solo in una classe di 29 alunni.

Da solo con quattro o cinque Piani Didattici Personalizzati da attuare. Da solo con indispensabili metodologie inclusive da adottare, quali l’apprendimento cooperativo, il tutoring, l’apprendimento senza errori, l’approccio metacognitivo, che, da sempre, sono state utilizzate grazie alla contemporaneità e alla stretta collaborazione in classe col docente di sostegno specializzato. Da solo a utilizzare strategie didattiche di cerniera, quali l’adattamento dei libri di testo, la creazione di schede di aiuto disciplinare, la costruzione di mappe e schemi, la creazione di agende del compito, la gestione di laboratori inclusivi, che, da sempre, hanno richiesto l’intervento di docenti realmente specializzati e competenti, come gli insegnanti di sostegno.
Presenza, innovazione e tagli

Metodologie inclusive e strategie didattiche di cerniera hanno bisogno di specializzazione e presenza operativa, non di consulenza a distanza. I nostri alunni con bisogni educativi speciali e con disabilità hanno bisogno di sostegno reale e non di consulenza a distanza.

Quelli che ora chiamano FIL, funzionamento intellettivo limite, i bambini e ragazzi che hanno difficoltà lievi ma che rischiano ogni giorno di perdere contatto con l’attività della classe e di perdere motivazioni e amore per la scuola, hanno bisogno di presenza. Di una presenza specializzata che sappia semplificare e adattare un testo, creare uno schema, creare un’agenda del compito, organizzare un laboratorio inclusivo per la creazione condivisa di materiali didattici. Di una presenza specializzata che sappia ascoltare, sorridere, spronare, motivare, toccare, abbracciare e sudare. Che sappia poi, al momento giusto, staccarsi, allontanarsi, lasciar fare, rendere autonomi. C’è bisogno di una presenza specializzata, c’è bisogno di contatto operativo in classe, non da lontano. Altro che sostegno a distanza! Altro che sostegno di prossimità!

Sono convinto che una nuova cultura inclusiva sia necessaria. Sono convinto che l’attenzione verso tutti i bisogni educativi speciali sia un’esigenza inderogabile della scuola pubblica e dei bambini e dei ragazzi che in essa vivono. Sono convinto che la ricerca e la letteratura sulle metodologie inclusive e sulle strategie didattiche di cerniera debbano moltiplicare i loro sforzi e produrre innovazioni sempre più funzionali. Ma non prendiamoci in giro!

Non proviamo a nascondere dietro a un impianto scientifico e valoriale, come quello dell’inclusione e dei BES, un tentativo di taglio delle risorse finanziarie alla scuola. Di taglio dei posti di sostegno. Non commettiamo, nello stesso tempo, l’errore di sprecare addirittura le risorse che ci sono. Le risorse professionali di chi, per venti o trent’anni, ha costruito una personale specializzazione fatta di studio e di esperienza diretta tra i banchi delle aule della scuola pubblica. Innovare vuol dire far funzionare bene quello che c’è, lavorando sulle criticità, stimolando le idee, la partecipazione, la presa in carico. L’innovazione si produrrà rivedendo l’attuale e nefasto approccio ai BES, eliminando l’etichettatura sistematica e la medicalizzazione, coinvolgendo nell’intervento di sostegno chi è veramente specializzato, non lasciando soli i docenti di classe proprio nel momento decisivo della didattica personalizzata. L’innovazione si attua facendo circolare veramente le risorse professionali che sono numerose all’interno della scuola pubblica, formando veramente tutti i docenti sulle metodologie e sulle strategie didattiche per l’inclusione. Valorizzare le professionalità e le specializzazioni. Questa è la vera innovazione! Questo è il vero sostegno alla scuola pubblica!

Carlo Scataglini - laletteraturaenoi.it

GLI ESAMI DI TERZA MEDIA DEGLI ALUNNI CON DISABILITA' O DSA

L'alunno con DSA e piano didattico personalizzato è equiparato all'alunno con disabilità

Giugno: la scuola finisce, ma per chi è in terza media le vacanze si faranno attendere ancora un po', dato che rimane l'ultimo ostacolo degli esami finali. In questo pezzo vogliamo fare il punto sulle modalità con le quali si svolgeranno le prove finali per gli alunni con disabilità o
disturbi specifici dell'apprendimento.

Poco, a dire il vero, è per ora cambiato rispetto allo scorso anno. In attesa di disposizioni concrete sull'applicazione della recente e controversa circolare sui BES (
circolare Direttiva Ministeriale del 27/12/2012) constatiamo nulla è cambiato rispetto al passato e che molto occorre ancora fare per affermare politiche scolastiche realmente inclusive.

ALUNNI DISABILI E PEI - Innanzitutto ricordiamo che per gli alunni con disabilità sono previste prove di esame specifiche, relative agli insegnamenti impartiti. Le prove possono essere differenziate, basandosi sul PEI piano educativo individualizzato dello studente. Il loro valore è lo stesso di quelle ordinarie, per ciò che riguarda il superamento della prova d'esame finale.

DSA E STRUMENTI COMPENSATIVI - Nel caso di alunni con DSA (Disturbi Specifici di apprendimento), si prevede la possibilità di utilizzare strumenti compensativi previsti dal piano didattico personalizzato (PDP). Per questi alunni è prevista la possibilità di dare più tempo per la conclusione delle prove, e può essere previsto l'uso di strumenti informatici. Per la comprensione di quanto richiesto dall'esame, un componente della commissione può leggere i testi delle prove scritte, inoltre al candidato può essere consentito l'uso di dispositivi per l'ascolto in formato mp3 dei testi registrati.

DSA E LINGUE STRANIERE - Per quanto riguarda le lingue straniere, è prevista una prova orale al posto di quella scritta nel caso in cui il candidato con DSA non abbia seguito un percorso didattico individuale, ma quello ordinario, con la sola dispensa dalle prove scritte di lingua straniera.
I candidati con DSA con percorso didattico differenziato e con esonero dall'insegnamento della lingua straniera, valutati in base ad esso, possono sostenere prove differenziate, coerenti con il percorso svolto, finalizzate al solo rilascio dell'attestato di credito formativo. Questo secondo quanto previsto dal D.P.R. n. 323/1998.
Ricordiamo quindi che gli alunni con DSA con piano didattico differenziato ed esonero dagli esami di lingua straniera, sono sostanzialmente equiparati agli studenti con disabilità che svolgono esami in base al loro PEI. E questo vale sia per le scuole secondarie superiori che inferiori.

ATTESTATO - Agli alunni con disabilità o con DSA che non conseguono la licenza è rilasciato un attestato di credito formativo, utile per l'iscrizione e per la frequenza delle classi successive, come previsto dall'
OM n. 90/01 in applicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 215/87 sul diritto di tutti gli alunni a frequentare anche le scuole superiori.
Dallo scorso anno, nei quadri finali pubblicati con gli esiti dell'esame, nel caso in cui lo studente non consegua il diploma, ma solo l'attestato, viene indicata la dicitura "Esito positivo", così come per la licenza. Così come per la scuola superiore, dall'anno scroso vieene usata questa dicitura al posto di "non licenziato".

lunedì 17 giugno 2013

FORIO: BAMBINO BOCCIATO, SCUOLA CONDANNATA DAL TAR A PAGARE 1.000



Forio:Tar promuove bambino bocciato ingiustamente in prima media, scuola condannata a pagare 1.000 euroDepositata la Sentenza, accolte integralmente le tesi degli avvocati Bruno Molinaro e Miriam Petrone.

di Gennaro Savio. E’ stata depositata la Sentenza del Tar Campania che nei mesi scorsi, promuovendo in seconda media un bambino bocciato ingiustamente, aveva accolto integralmente le tesi sostenute in giudizio dagli avvocati Bruno Molinaro e Miriam Petrone. I legali ischitani avevano censurato per eccesso di potere e violazione di legge il comportamento tenuto, nella specie, dall’istituzione scolastica nei confronti del discente illegittimamente penalizzato. Infatti nonostante gli fossero stati diagnosticati problemi nell’apprendimento, la scuola non aveva provveduto a dare al bambino un adeguato supporto didattico così come prevede la Legge numero 170\2010 in favore del discente. L’istituto scolastico di Forio è stato anche condannato al pagamento di 1.000,00 € oltre IVA, CPA e contributo unificato riferito alle spese di lite in favore dei ricorrenti. Ma quello foriano non rappresenta certamente un caso isolato. Infatti in Italia sono tantissimi i bambini con difficoltà di apprendimento che non ricevono un adeguato supporto didattico e la cui disagevole condizione scolastica viene alla ribalta solo se vengono bocciati così com’è avvenuto alle medie di Forio e lo scorso anno, sempre sull’isola d’Ischia, alla scuola elementare di Lacco Ameno.

Disturbi specifici d'apprendimento, impennata di certificazioni

Oltre 90 mila alunni con Dsa: tra gli anni scolastici 2010/11 e 2011/2012 24.811 certificazioni in più (+37 per cento). L'incremento più significativo alle superiori, il numero più alto di studenti alle medie. Gli alunni con bisogni educativi speciali sono circa 1 milione. L'analisi del responsabile disabilità del ministero dell'Istruzione


ROMA - Cresce il numero di alunni con certificazione di Disturbi specifici di apprendimento. Lo rivelano i dati del Miur aggiornati al 15 febbraio 2013, che parlano di una "significativa impennata". Tra gli anni scolastici 2010/11 e 2011/2012 le certificazioni sono cresciute del 37 per cento, 24.811 in più. Un incremento, sottolinea lo stesso ministero, "maggiormente indicativo se si considera il decremento nel totale degli alunni iscritti". La percentuale di alunni con Dsa supera appena l'1 per cento della popolazione scolastica: nel 2010-2011 erano poco più di 65 mila e 200 (0,9 per cento), l'anno seguente superavano i 90 mila (1,2 per cento). Si tratta di un incremento "dovuto alla maggiore sensibilizzazione rispetto a tale problema", secondo il ministero dell'Istruzione, che prevede nei prossimi anni un ulteriore aumento. Il Ministero ha introdotto con una circolare nel 2004 la possibilità per questi alunni di personalizzare la didattica, di adottare strumenti compensativi e misure dispensative e di applicare una valutazione specifica in tutte le fasi del percorso scolastico. Solo nel 2010 il Parlamento ha approvato una legge specifica, la "170".

Degli oltre 90 mila alunni certificati nell'anno 2011/12 il maggior numero frequenta la scuola media (38.549); qui l'incremento è stato del 39 per cento, quasi 11 mila in più. Segue poi per numero di presenze la scuola primaria (27.278), dove si registrano oltre 9.800 iscritti in meno a fronte di 5.345 certificazioni in più. Ma è alle scuole superiori (24.203) che si registra l'incremento più significativo: 8.547 alunni certificati in più (+ 54 per cento) a fronte di un decremento di oltre 7.800 alunni iscritti. Ed è un dato che, secondo il ministero, non deve sorprendere "Alcuni casi di disturbi specifici di apprendimento vengono scoperti solo all'università - sottolinea Raffaele Ciambrone, dirigente del Miur (Ufficio disabilità) - I ragazzi con dislessia pura mettono in atto un sistema di compensazione con cui riescono a superare le difficoltà del disturbo. In ogni caso occorre distinguere tra difficoltà e disturbo. Il 20 per cento degli alunni ha difficoltà di apprendimento della matematica, ma la discalculia riguarda solo lo 0,5 per cento". Pesa anche la difficoltà delle famiglie a riconoscere e accettare che i propri figli vivano una difficoltà di apprendimento.

Meno certificazioni al Sud. Le certificazioni crescono in modo omogeneo nel Nord e nel Centro, mentre sono "sensibilmente inferiori" nel Mezzogiorno. Ma se si analizza la situazione della scuola primaria si scopre che gli incrementi sono "piuttosto bassi" nel Centro e nel Mezzogiorno. Segno di "un diverso approccio alla certificazione fra le diverse aree del paese".

Ritardo nelle certificazioni. In alcune regioni il rilascio delle certificazioni da parte di strutture pubbliche o accreditate richiede diversi mesi o anche più di un anno. Per questo le scuole possono attivare in via preventiva le misure previste dalla Legge 170 anche su presentazione di una diagnosi ''privata''. Tuttavia, per ottenere le misure dispensative agli esami, è richiesta la certificazione ai sensi di legge entro il 31 marzo". (cch)

(11 giugno 2013)

Come funziona l’esame di terza media



Emanuele Contu, che insegna Lettere alle scuole medie dal 2003 ed è responsabile scuola del PD milanese, spiega sul sito dei Mille come funziona e quali sono i pro e i contro dell’esame di terza media, che tra poco dovranno affrontare circa 600 mila studenti in tutta Italia. In particolare Contu sostiene che la valutazione finale dell’esame abbia un peso eccessivo, si chiede se la prova Invalsi – uguale in tutte le scuole d’Italia – sia opportuna, e ricorda che un tempo l’esame aveva senso anche perché coincideva con il termine dell’obbligo scolastico, che ora – se l’alunno è in regola – termina dopo il secondo anno di superiori.
Tra pochi giorni, i tredici-quattordicenni italiani affronteranno il loro esame di terza media. I numeri di quello che più propriamente si chiama Esame di Stato del Primo ciclo sono imponenti: quasi ottomila scuole coinvolte, per un totale di circa 600mila candidati ripartiti in più di 27mila classi e affidati al giudizio di svariate migliaia di insegnanti. Nonostante la mole dell’operazione, però, l’esame di terza media è un po’ il fratello povero della maturità: se ne parla poco, anche se gli spunti di riflessione non mancherebbero per quello che oggi è per molti versi un oggetto strano, un ibrido a metà strada tra rito di passaggio e momento di verifica e certificazione.
Negli ultimi anni le modalità di svolgimento e di valutazione dell’esame sono mutate, complicandosi notevolmente. L’esame è articolato infatti in sei prove, più di quelle della stessa maturità: prima dell’orale conclusivo, gli alunni devono affrontare quattro scritti su quesiti stabiliti dai loro insegnanti (italiano, matematica e tecnologia, inglese, seconda lingua comunitaria), più una prova nazionale predisposta dall’Invalsi. È invece rimasta invariata la composizione della commissione d’esame: questa è costituita dagli insegnanti di tutte le terze della scuola, suddivisi in tante sottocommissioni quante sono le classi da esaminare; solo il presidente di commissione – di norma un dirigente scolastico – è nominato dall’esterno. Ciò significa, in sostanza, che ogni candidato è esaminato e valutato dagli stessi insegnanti che lo hanno ammesso all’esame e lo hanno preparato nel corso del triennio.
Questa, a grandi linee, l’organizzazione dell’esame. Una prova lunga e abbastanza complessa, cosa di per sé non negativa. Diverse sono però le perplessità che accompagnano questa architettura, soprattutto perché rendono difficile comprendere quali finalità si vogliano affidare all’esame stesso.