A.A.A. - D.S.A. - Dislessia, un limite da superare

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venerdì 17 febbraio 2012

Ragazzo dislessico cambia scuola la preside lo attacca La storia: emarginato

La mamma del ragazzo che si è sentito emarginato in una scuola media potentina e che ha deciso di trasferirsi in u n’altra scuola, racconta alla «Gazzetta» le ragioni che hanno portato la famiglia e il ragazzo a questa scelta. Scelta che, seppur a distanza di settimane, continua a raccogliere segnali di ostilità da parte della dirigente dell’istituto dal quale il ragazzo è andato via. Riceviamo e pubblichiamo.

Sono la mamma di quel ragazzino dislessico, quello del vostro articolo di qualche tempo fa, ricordate? Quello isolato nel banco… Dalla riapertura delle scuole di questo 2012 mio figlio frequenta un altro istituto ed è tornato a sorridere. La dirigente della sua vecchia scuola, giorni fa, mi ha inviato una lettera in cui dice che per difendere i diritti di immagine dell’istituto che dirige si è decisa a sporgere denuncia. Non credo di aver leso nessuna immagine motivando una richiesta di «nulla osta», sottolineando alcune mancanze della scuola nei confronti di un ragazzino dislessico. Credo piuttosto abbia leso lei l’immagine di mio figlio che in tale lettera, a suo dire, è afflitto da ben altri problemi che non la dislessia.

Ella sottolinea infatti presunti comportamenti aggressivi e antisociali del ragazzo denunciando di incapacità genitoriale me e il padre e ritenendo inadeguato il nostro contesto socio-ambientale. Non so se la dirigente in questione si rende conto della gravità delle sue affermazioni, di quanto chiaramente confessa che in quella classe mio figlio fosse stigmatizzato come violento e pertanto emarginato, e non certo dai compagni o dai loro genitori che non potevano sapere della sua diagnosi o comunque avere gli strumenti per leggere taluni suoi comportamenti come sintomi della sua sofferenza proprio perché non sensibilizzati ed edotti della problematica da chi avrebbe dovuto farlo.

Soprattutto se sia consapevole di quanto possa essere lesiva e del tutto inopportuna la richiesta per una forma istituzionale di supporto psicologico per la nostra intera famiglia. Sono certa che se dovesse accadere «noi» sapremo affrontare la situazione senza alcuna difficoltà e serenamente come abbiamo sempre fatto. Tutto ciò probabilmente renderà nota la sua identità e quella della scuola che dirige e quello che io non avevo inteso fare, pensando in fondo non ad una cattiva volontà ma solo ad una incomprensione del fenomeno, l’avrà fatto lei con un’azione che denuncia forse a questo punto la chiara volontà di ferire. A me rimane tutta l’amarezza di una scuola che non solo non ci ha saputo aiutare in un «D.S.A.» certificato ma che addirittura vi si accanisce contro anche ora che mio figlio non fa più parte di quella scuola. (Lettera firmata)

Né «asini», né «mostri»: solo ragazzi da sostenere



di ANTONELLA AMODIO (*)
Questa incresciosa vicenda sottolinea come ancora non vi sia una chiara consapevolezza circa i D.S.A. Essi rientrano nel quadro di un disturbo a base neurobiologica che compromette il normale svolgimento delle attività scolastiche di bambini che non presentano alcun altra difficoltà e in nessun modo è ascrivibile a comportamenti familiari, in particolare a quelli delle mamme tacciate spesso di iperprotettività ed ora persino di inadeguatezza genitoriale. Che il quadro psicologico che si può instaurare nei casi non riconosciuti o non adeguatamente aiutati, possa divenire negli anni ben più severo del disturbo in sé, dovrebbe essere ormai storia nota. Non a caso il dottor Giacomo Stella, in Parlamento, durante la presentazione delle linee guida sui DSA emanate per la scuola, citava uno studio dal quale è emerso un dato significativamente superiore di casi di suicidio nei ragazzi in età scolare con diagnosi di D.S.A. Fobie scolari, atteggiamenti oppositivi, forme depressive sono infatti all’ordine del giorno in quei casi dove non vengono adottati i giusti accorgimenti. Questo è il disturbo invisibile, definito così proprio perché presente in ragazzi intelligenti a cui è molto più facile imputare uno scarso impegno che una reale difficoltà. Finiscono così spesso per essere sottoposti a continui rimproveri, se non proprio allo scherno di genitori, insegnanti, compagni…

Incompresi da tutti e quindi incolpati per quello che è invece un loro problema, sono i primi a non poterlo riconoscere e a ritenersi pertanto «asini» e «incapaci» con una grave ricaduta sulla propria stima di sé manifestando ben presto tra l’altro, un’elevata ansia da prestazione che finisce per inficiarne ulteriormente i risultati scolastici. Che i compagni di classe o i loro genitori non sappiano riconoscere in alcune manifestazioni di questi bambini quelle che invece sono continue richieste di aiuto e che possano piuttosto allarmarsene, è cosa del tutto normale. Mi spiacerebbe molto se i vecchi compagni di scuola di questo ragazzo potessero anche solo pensare di avere avuto una qualche responsabilità in questa faccenda, sono solo bambini, non ne hanno alcuna, i loro genitori poi, come potevano mai essere consapevoli di dinamiche interne ad una classe che ovviamente non frequentavano? Non è facile capire che il disagio che creo è figlio del disagio che provo…

Spesso in queste vicende le componenti esterne al consiglio di classe sono persino all’oscuro di una eventuale diagnosi ed in ogni caso non avrebbero le competenze adeguate per farvi fronte non essendo argomento di loro pertinenza, che non lo riconoscano gli addetti ai lavori e non vi pongano rimedio, è invece oggi cosa ben più grave. Vorrei citare solo per grandi lineee, l'effetto Pigmalione, noto anche come effetto Rosenthal. Esso dovrebbe essere conosciuto da ogni operatore scolastico, a prescindere i DSA. Deriva dagli studi classici sulla «profezia che si autorealizza» e il suo assunto di base può essere così sintetizzato: se gli insegnanti credono che un bambino sia meno dotato lo tratteranno, anche inconsciamente, in modo diverso dagli altri; il bambino interiorizzerà tale giudizio e si comporterà di conseguenza; si instaura così un circolo vizioso per cui il bambino tenderà a divenire nel tempo proprio come l’insegnante lo aveva immaginato. Inutile dire che sortisce gli stessi effetti qualsiasi siano i pregiudizi rispetto al discente, così se si ritiene che esso sia un violento con atteggiamenti antisociali, questi, con buona probabilità, nel tempo lo diverrà.

Dunque la scuola, non solo può non aiutare ma addirittura può distruggere. Vorrei però rassicurare i lettori, gli operatori scolastici in genere sono ben consapevoli di tutto ciò. Sempre più sono gli insegnanti capaci di riconoscere un DSA e di adottare adeguate misure dispensative e compensative. La storia che diviene nota si sa, la scrivono le eccezioni, per fortuna quella vera è quella di tutti i giorni, scritta dall’impegno di tanti e se non fa notizia fa invece cultura e instaura spesso rapporti che potremmo dire di amore, di quel particolare tipo di amore che lega il discente ai suoi maestri e che solo può portare all’amore per lo studio. [Coordinatrice Osservatorio regionale Dsa]

mercoledì 15 febbraio 2012

IMEC pronta al test di un nuovo processo produttivo


L'istituto di ricerca europeo ha realizzato una linea di produzione di test per saggiare l'efficacia del processo DSA - Directed Self-Assembly

L'IMEC, istituto europeo di ricerca con sede a Leuven, in Belgio, ha portato a termine lo sviluppo congiunto di un nuovo processo di produzione di tipo DSA - Directed Self-Assembly che consente di migliorare i processi di litografia ottica ed extreme-ultraviolet, installando inoltre una linea produttiva compatibile con i 300 mm nella sua fabbrica pilota. I dettagli della nuova implementazione sono illustrati in occasione della SPIE advanced lithography conference di San Jose dal 12 al 16 febbraio.
Il passaggio del processo DSA da una configurazione di laboratorio ad una compatibile per la produzione in fabbrica è stato realizzato in collaborazione con l'Università del Wisconsin, AZ Electronic Materials e con Tokyo Electron Ltd. La collaborazione mira a portare la DSA verso la produzione ad elevati volumi.
La tecnologia DSA è osservata con particolare attenzione poiché consente di estendere la litografia ottica oltre i suoi attuali limiti. Si tratta di una tecnologia di patterning alternativa che, mediante l'impiego di copolimeri autoassemblanti, consente di ridurre il pitch della struttura finale stampata. La DSA può inoltre essere utilizzata per riparare difetti e uniformità della stampa originaria, questa caratteristica risulta essere di particolare utilità quando impiegata assieme alla litografia EUV, caratterizzata da variazioni locali in dimensioni critiche.
Kurt Ronse, direttore della litografia per IMEC, commenta: "La disponibilità di una linea di processo DSA ci permette di spingere ulteriormente i limiti della litografia ad immersione a 193 nanometri e superare alcune preoccupazioni cruciali per la litografia EUV. Questo ci permette di spingere ancor oltre i limiti della legge di Moore".
Paul Nealy, professore per l'Università del Wisconsin, ha invece dichiarato: "La collaborazione ha dato come risultato un'integrazione senza precedenti della DSA con strumenti e materiali pronti per la produzione, consentendo inoltre di indagare le potenzialità ed i limiti della DSA altrimenti impossibile in un allestimento accademico, e fornisce eccezionali opportunità formative per i nostri studenti. Siamo grati di essere su un percorso assieme ad IMEC verso la commercializzazione di una tecnologia sulla quale abbiamo speso quasi 15 anni di sviluppo".
IMEC sta offrendo accesso e partecipazione alla ricerca DSA come parte del suo core CMOS program, che include Globalofoundries, Intel, Micron, Panasonic, Samsung, TSMC, Elpida, Hynix, Fujitsu e Sony tra i partecipanti.

lunedì 13 febbraio 2012

Alla laurea e al diploma con la dislessia

Leggere, scrivere e contare: non tutti ci riescono

Nei primi anni della scuola i bambini fanno più fatica, alle superiori il divario è meno marcato e l'università vieen incontro alle difficoltà dei dislessici
Roma, 23 gennaio 2012 - «MIO FIGLIO non sa leggere». Così trent’anni fa esordì lo sceneggiatore Ugo Pirro in un libro-confessione che ha fatto storia. Per la prima volta il grande pubblico prendeva coscienza dei disturbi specifici dell’apprendimento, ragazzi con un quoziente intellettivo nella media ma con più o meno grosse difficoltà di lettura, scrittura e calcolo. Genitori disorientati, percorsi di crescita travagliati. Occorre trovare la propria strada, pensiamo a quante celebrità dell’arte, campioni dello sport e scienziati illustri hanno dovuto fare i conti con qualche inciampo scolastico. Ora, con le conoscenze attuali, è possibile superare gli scogli ed eccellere, anche dopo il diploma di scuola media. «Sono ancora pochi gli studenti con disturbi dell’apprendimento che frequentano gli atenei — afferma Giacomo Guaraldi, autore con Paola Pedroni e Margherita Moretti Fantera del libro Al diploma e alla laurea con la dislessia, edizioni Erickson — ma il loro numero, grazie alla legge 170 e successive linee guida, è in incremento. Abbiamo così deciso di ascoltare la loro voce».
Matteo, studente del corso di laurea in Biotecnologie, si esprime così: «Il mio percorso scolastico è stato segnato da enormi difficoltà. Ma ho compreso che, se opportunatamente aiutato, io posso, se non guarire, almeno migliorare e costruire il mio progetto di vita, fino appunto ad arrivare alla laurea».
DISTURBI come la dislessia non rappresentano motivo di disagio solo per il soggetto interessato ma anche per gli educatori e le famiglie, fondamentale non cadere nella trappola dei viaggi della speranza, inseguendo il miraggio di qualche cura improbabile. Stiamo aggrappati alle istituzioni e al volontariato. Ne è convinta Maristella Craighero, dinamica vicepresidente dell’Associazione italiana dislessia, sede a Bologna e sezioni in tutta Italia (www.aiditalia.org).
L’ultimo convegno su questi temi si è tenuto a Vicenza, tra i relatori Giacomo Stella, docente di psicologia dello sviluppo cognitivo, uno dei padri fondatori dell’associazione. Da segnalare un servizio unico in Italia nella diagnosi di questi disturbi: è a Reggio Emilia, coordinato da Enrico Ghidoni, responsabile del laboratorio di neuropsicologia presso l’Arcispedale Santa Maria Nuova.
TRA LE ALTRE proposte che si annunciano per i prossimi mesi, il centro Fare (Centro formazione abilitazione ricerca educazione) ha promosso a Perugia corsi per genitori di figli dislessici. Gli esperti del team di ascolto aiutano a capire i rapporti con figli, fratelli e amici, le relazioni famiglia-scuola, e strumenti per la gestione e pianificazione dei compiti.
Altra iniziativa a Maranello, dove Daniela Lucangeli, professore di psicologia dello sviluppo all’Università di Padova, ha trattato lo «scoglio» della matematica, preludio a un ciclo di incontri del distretto di Sassuolo.  
Alessandro Malpelo